I pharmainfluencer e la differenza tra informazione e pubblicità

di Maria Cristina Valsecchi

“La cellulite è una condizione medica, non una semplice problematica di natura estetica, ma molte persone non la trattano per diffidenza nei confronti dei trattamenti farmacologici”, dice il farmacista in camice bianco dietro al bancone della farmacia, una figura professionale ben riconoscibile, considerata autorevole sui temi della salute dal pubblico che segue i suoi video sui social media. “Applica localmente tutti i giorni una crema farmacologica contenente levotiroxina, un ormone ad azione prettamente locale. Molte persone, per paura di un effetto centrale della levotiroxina non applicano la crema a livello locale, mentre, come detto, la levotiroxina è un ormone ad azione prettamente locale”, prosegue. Solo nei commenti, in risposta a diverse domande dei follower su potenziali effetti indesiderati per chi ha problemi alla tiroide, risponde che “i farmaci, anche ad azione locale, a base di levotiroxina sono sconsigliati nei pazienti sotto terapie ormonali sostitutive o sotto terapie per patologie alla tiroide”.

Che cosa c’è che non va nel messaggio che questo professionista sanitario trasmette a un pubblico fiducioso nella sua competenza? Innanzi tutto, l’affermazione che la cellulite non sia un problema estetico ma una condizione medica, una malattia, e che come tale deve essere trattata. Al contrario, la letteratura scientifica (1) concorda sul fatto che la cellulite non è una malattia, ma un inestetismo, che può compromettere il benessere della donna solo nella misura in cui mina la sua autostima: il 40% delle donne riferisce di aver ricevuto commenti imbarazzanti sulla propria cellulite e il 78% sente la necessità di trattarla. A che pro incoraggiare chi non sente questa necessità a “vincere la propria ritrosia” e intraprendere un trattamento farmacologico?

Il secondo aspetto opinabile del video è la ripetuta rassicurazione sull’innocuità della levotiroxina usata a livello locale, salvo poi riconoscere, solo nei commenti e solo in risposta a esplicite obiezioni, che questo ormone in alcuni casi può interferire con il funzionamento della tiroide e che è sempre meglio chiedere consiglio al proprio medico prima di intraprendere il trattamento. In una nota dell’AIFA del 2011 a proposito dei farmaci per uso locale che contengono levotiroxina (2) si legge: “I farmacisti, al momento della dispensazione, dovrebbero informare le donne circa i possibili effetti del farmaco sulla funzione tiroidea, la controindicazione all’uso in caso di patologie tiroidee pre-esesistenti e/o in caso di assunzione di farmaci correlati ad esse e i possibili effetti indesiderati dovuti ad un eccessivo assorbimento del farmaco (insonnia, agitazione, ansia) che potrebbero costituire sintomi precoci di tossicità sistemica”.

Volutamente non cito l’autore di questo video, perché è solo un esempio dei numerosi contenuti pubblicati sui social media riguardo farmaci, integratori alimentari e cosmetici venduti in farmacia, che possono sembrare informazioni oggettive e autorevoli, vista la fonte, e invece sono pubblicità. Si trova un po’ di tutto: affermazioni sulla necessità di “detossificare” periodicamente il fegato con appositi integratori, raccomandazioni di trattare la cistite con probiotici o il mal di schiena con antiossidanti, tutte prive di una solida base scientifica e presentate da operatori della salute, forti dell’autorevolezza della loro professione. Per indicare queste figure è stato coniato un nuovo termine nel mondo del marketing: pharmainfluencer.

Un “promettente mercato in espansione”

Si tratta di influencer, cioè figure pubbliche che hanno creato intorno alla propria immagine una comunità di follower su cui esercitano la loro influenza offrendo consigli di salute per condizionarne le preferenze nell’acquisto di farmaci, integratori e prodotti cosmetici. In occasione dell’ultima edizione di Cosmofarma Exhibition, manifestazione annuale che fa incontrare aziende farmaceutiche e farmacisti, l’Osservatorio Nazionale Influencer Marketing e Pubblico Delirio, società di consulenza sulla comunicazione aziendale, hanno presentato uno studio (3) che analizza le prestazioni dei pharmainfluencer su Instagram e TikTok, su quanto sia vantaggioso per le aziende produttrici di farmaci avviare collaborazioni con queste nuove figure pubbliche per promuovere i loro prodotti. Instagram, in particolare, consente alle aziende, attraverso i pharmainfluencer, di raggiungere un vasto pubblico per lo più femminile di persone giovani interessate ai temi dell’alimentazione sana, dei cosmetici, dell’attività fisica.

Si tratta, dunque, di una professione riconosciuta, con dinamiche dichiarate alla luce del sole: figure pagate da aziende farmaceutiche per pubblicizzare i loro prodotti. Esiste persino un’agenzia di “talent management”, la Blendistrict (profilo su Instagram @blendistrictitalia) che recluta gli influencer più promettenti e li fa incontrare con le aziende interessate in base ai loro ambiti di specializzazione, dalla cura della pelle agli integratori alimentari, dall’igiene intima femminile ai prodotti specifici per pazienti oncologici.

Di loro si è interessata anche la Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani, che lo scorso aprile ha pubblicato una circolare (4) dal titolo “Comunicazione sanitaria sui social media”. La circolare si riferisce a “soggetti che si presentano come iscritti all’Ordine dei Farmacisti e/o titolari di farmacia e dispensano consigli e raccomandazioni relativamente a medicinali, spesso individuati tramite il marchio che li contraddistingue e indipendentemente dal fatto che si tratti di farmaci da banco o soggetti a prescrizione medica. In proposito si rammenta che, a norma del Codice Deontologico, il farmacista, nell’attività di dispensazione, consiglio e consulenza professionale, è tenuto a garantire un’informazione sanitaria chiara, corretta e completa, con particolare riferimento all’uso appropriato dei medicinali, alle loro controindicazioni e interazioni, agli effetti collaterali. Inoltre si richiama l’attenzione sul fatto che, ai sensi dell’articolo 118 del Decreto Legislativo 219/2006, nessuna pubblicità di medicinali presso il pubblico può essere effettuata senza autorizzazione del Ministero della Salute, ad eccezione delle inserzioni pubblicitarie sulla stampa quotidiana o periodica e sulle pagine web che si limitano a riprodurre integralmente e senza modifiche le indicazioni, le controindicazioni, le opportune precauzioni di impiego, le interazioni, le avvertenza speciali, gli effetti indesiderati descritti nel foglietto illustrativo”.

Nella zona grigia tra lecito e illecito

È lecito quindi per un farmacista iscritto all’Ordine postare contenuti pubblicitari come pharmainfluencer? Sergio Cattani, farmacista e formatore, ha scritto un articolo sull’argomento (5) interpellando un avvocato del Centro Studi di Diritto Sanitario e Farmaceutico. “La legge stabilisce che le pubblicità dei medicinali non devono contenere raccomandazioni di scienziati, operatori sanitari o persone largamente note al pubblico e il farmacista è un operatore sanitario”, spiega Cattani. “D’altra parte il codice deontologico prevede che il farmacista, nell’esercizio della sua professione, offra consigli e consulenza sui medicinali, in particolare sulle indicazioni d’uso, le controindicazioni, le interazioni e le modalità di conservazione, come riportate nel foglietto illustrativo. L’avvocato che ho consultato dice che la liceità dei contenuti pubblicitari postato dai pharmainfluencer andrebbe valutata caso per caso”.

La cosa più importante, per quel che ci riguarda, è far presente agli utenti del social media che i contenuti postati dai pharmainfluencer non sono informativi ma pubblicitari e il loro scopo è espressamente quello di favorire le vendite di determinati prodotti. Esiste una figura professionale il cui ruolo è quello di pubblicizzare medicinali ai medici in rappresentanza di un’azienda del settore ed è quella dell’informatore farmaceutico. “Sono laureati in farmacia o in chimica e tecnologie farmaceutiche, non iscritti all’Ordine dei farmacisti, che intraprendono questo mestiere”, spiega Cattani. Al medico, competente sui temi della salute e sull’uso dei farmaci, è chiaro il ruolo dell’informatore farmaceutico. Diversa è la situazione se un farmacista agisce come un informatore farmaceutico, pubblicizzando un prodotto non a un medico, competente in materia, ma al pubblico che fa riferimento alla figura del farmacista come a un’autorità in tema di salute. Il rischio di considerare quei contenuti consigli disinteressati è evidente.

Consigli per la salute

La giornalista scientifica Cristina Da Rold ha tenuto corsi di formazione sulla comunicazione della salute sui social media dedicati a operatori sanitari. “I farmacisti che hanno preso parte a questi incontri non erano interessati nello specifico a fare attività di pharmainfluencer, cioè a pubblicizzare farmaci sui social, ma piuttosto erano spinti dal desiderio di rendersi utili al pubblico offrendo consigli sulla salute e creare una comunità intorno alle loro farmacie o a loro stessi come professionisti, organizzando anche eventi informativi dal vivo”, racconta.

Il professionista a cui rivolgersi per avere informazioni su qualunque problema di salute, indicazioni per la prevenzione e la cura è il medico di famiglia. Tra i compiti del farmacista, oltre a dispensare i medicinali, c’è anche quello di dare informazioni e consulenza sui farmaci. “Di fatto tanti utenti si rivolgono al farmacista anche per avere consigli di salute su piccoli problemi, cioè non su patologie gravi, ma disturbi che possono essere trattati con farmaci da banco, quelli che non richiedono la prescrizione del medico”, spiega Cattani.

Distinguere le informazioni dalla pubblicità

Come si fa allora a distinguere i consigli per la salute disinteressati offerti al pubblico dai messaggi promozionali che hanno lo scopo di pubblicizzare specifici prodotti? “In primo luogo, bisogna sapere che i post contraddistinti dall’hashtag #ad oppure #adv sono esplicitamente delle pubblicità”, risponde Cattani. “Attenzione poi ai contenuti che presentano come patologie gli inestetismi o fenomeni fisiologici come la caduta dei capelli. Sono espressioni di un fenomeno noto come disease mongering, cioè la fabbricazione di malattie inesistenti per vendere rimedi. Infine, sono borderline, da considerare secondo alcuni aspetti delle pubblicità occulte, i post e i video in cui viene citato unicamente il nome commerciale di un farmaco o di un prodotto, oppure viene mostrata in foto o in video la confezione. Il farmacista è tenuto a informare l’utente circa l’esistenza di farmaci equivalenti, quindi la correttezza impone che parli del principio attivo del medicinale e non di uno specifico prodotto commerciale che contiene quel principio attivo”.

In conclusione, per qualunque dubbio, è sempre meglio chiedere al proprio medico di fiducia.

Bibliografia

1. L. S. Bass, B. P. Hibler et al, “Cellulite Pathophysiology and Psychosocial Implications”, Dermatologic Surgery, 49 (2023), pp: S2-S7

2. AIFA, “Levotiroxina/escina e distiroidismo”, 2011, https://www.aifa.gov.it/sites/default/files/levotiroxina_escina_tiroide.pdf

3. Osservatorio Nazionale Influencer Marketing, Pubblico Delirio, “Pharma Influencer su Instagram e TikTok: la prima ricerca italiana”, 2023, https://www.onim.it/wp-content/uploads/2023/05/REPORT-PHARMA-INFLUENCER-SU-INSTAGRAM-E-TIKTOK.pdf

4. Federazione Ordini Farmacisti Italiani, “Comunicazione sanitaria sui social media”, circolare n. 14378, 13/4/2023

5. Sergio Cattani, “Farmacisti social. Comunicare salute: limiti di legge e deontologia per pharma-influencer”, Farmacista33, 24/5/2023, http://www.farmacista33.it/farmacisti-social-comunicare-salute-limiti-di-legge-e-deontologia-per-pharmainfluencer/politica-e-sanita/news–64972.html

Attenzione: postilla

A seguito della pubblicazione di questo articolo, mi è pervenuta una nota di Blendistrict che si duole del modo in cui avrei descritto il suo ruolo nella vicenda dei pharmainfluencer. Tengo a dire che nell’articolo sono stati descritti fatti noti e di pubblico dominio, senza alcun intento o risultato diffamatorio, che infatti l’agenzia, nella sua nota, non ha saputo evidenziare. Blendistrict vuole informarci che tanto essa quanto i suoi pharmainfluencer operano nel rispetto della legge e del relativo codice deontologico. Per quanto mi riguarda, ribadisco la piena correttezza del mio operato, esercitato ai sensi dell’art. 21 Cost. nell’ambito del legittimo esercizio del diritto di cronaca.

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